L’inno Aussie e l’intervista a Cathy Freeman

Cathy Freeman con Irene Righetti - www.runningpost.it

L’Australia, nell’ultimo giorno del 2020, ha modificato parte dell’inno aussie “Advance Australia Fair” (opera del compositore Peter Dodds McCormick), da siamo giovani e liberi” a “siamo uniti e liberi”.

È stata rimossa la parola “giovani” come chiedevano da tempo gli aborigeni, gli australiani appartenenti alle popolazioni autoctone del Continente rosso, i cui antenati vi giunsero oltre 60 mila anni fa.

Un cambiamento giusto e significativo, che doveva avvenire se è vero che l’Australia è una nazione multiculturale che ha accolto immigrati e profughi provenienti da tutto il globo.

E ha accolto anche i miei nonni, Ines ed Egidio. Partirono dal piccolo Molise, dove il lavoro scarseggiava e dove dovevi spaccarti la schiena nei campi dalla mattina alla sera per tirare avanti. E no, non parlavano una parola d’inglese ma avevano voglia di fare e tanti sogni. Con umiltà si sono rimboccati le maniche iniziando a lavorare, creando per loro stessi e la nostra famiglia un futuro migliore.

Strane coincidenze perché proprio stamattina pensavo a quale fosse stata la mia prima importante intervista. Nessun dubbio, fu quella che feci al simbolo del riscatto del popolo aborigeno: Chathy Freeman.

 

Cathy Freeman e l'intervista su Correre di Irene Righetti

Cathy Freeman quando vinse l’oro a Sydney 2000. L’intervista la feci per “Correre” magazine.

 

Nata a Mackay, una cittadina piuttosto piccola dal clima tropicale, adagiata sulla costa nord del Queensland, proprio di fronte alla grande barriera corallina, iniziò presto a correre. Aveva 5 anni e la prima competizione la fece all’età di 8 anni. 80 metri la distanza e inutile dire arrivò prima al traguardo. Da allora non si fermò più, inanellando un successo dopo l’altro, fino a conquistare l’argento olimpico nel 1996 e l’oro a Sydney 2000.

La incontrai a Melbourne, allo Studley Park.

Si era ritirata e non era più una atleta professionista. Mi spiegò: «Ero in America per gareggiare, e mi accorsi di non avere più il killer instinct, le avversarie mi superavano e io stranamente non mi arrabbiavo più. La cosa mi era totalmente indifferente e questa mia assenza di reazione mi stupì. Così iniziai a riflettere sull’accaduto e in breve tempo decisi di smettere».

Australia

Fu una bella e sincera chiacchierata, al mio fianco avevo Tommaso mio marito, che ci immortalò in quei momenti per me molto emozionanti. Perché stavo intervistando una delle donne più veloci della terra, perché sedevo accanto al simbolo di rivicinta di un’intero popolo, e perché mi trovavo in quella che era un po’ anche la mia Terra.

Foto di Tommaso Gallini

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