Perché non ci sono keniani ultramartoneti?!? Se lo è chiesto il The Guardian e me lo chiedo anche io. No, non ho mai corso un’ultramaratona, ovvero una gara più lunga di 42 km e 195 metri, ma ne ho seguite diverse. In primis l’Ultra Trail du Mont Blanc (UTMB), la più importante delle ultra, lunga 170 km per 10 mila metri di dislivello. Una competizione che si svolge in semi-autonomia, con partenza e arrivo da Chamonix. Chi vi partecipa deve avere un fisico e una testa bestiali perché puoi correrla solo se te la guadagni, mettendo insieme almeno 15 punti, che puoi acquisire partecipando a una serie di competizioni di qualifica (c’è un elenco apposito).
START ULTRA E MARATONE
Ebbene… Sulla linea di partenza ho sempre e solo visto ultra-runners bianchi. Sembrano non esserci wonder women e supermen di colore.
Cosa ben diversa in maratona dove le gare se le giocano i quintetti e i terzetti di atleti africani; s’impongono su tutti e con nonchalance s’involano e vincono.
Come dice il Guardian, i keniani e gli etiopi dominano il mondo delle lunghe distanze, ma non si spingono oltre la maratona, come mai?
LA GRANDE BARRIERA
La grande barriera per gli africani sembra essere rappresentata dai premi. In Kenya non ci sono manager che guardano agli ultra-runners, nessuno pagherebbe loro il volo per competere un’ultra. Questo perché i premi sono di poca entità e non in denaro.
Il denaro dunque sembra essere la chiave motivazionale per gli atleti degli altipiani, un modo per cambiare vita, per uscire dalla povertà, e aiutare con i guadagni la famiglia e la comunità. In pratica non possono permettersi il lusso di correre per pura passione.
C’è da sottolineare però che l’ultrarunning sta crescendo e di conseguenza anche le opportunità di guadagnare; vincere gare importanti può assicurare una bella sponsorizzazione da parte di brand sportivi e non solo. Ma siamo ancora lontani dai livelli della corsa su strada…
COSA DICONO MARCO OLMO E MICHELE GRAGLIA
Ho voluto saperne di più sui premi delle ultra chiedendo a due campioni, nonché amici: Marco Olmo, vincitore di 2 UTMB, tre volte terzo alla Marathon des Sables e di numerosi ultra trail, e Michele Graglia, che ha corso tante gare estreme tra cui la Badwater, la Yukon Artic Ultra (primo nella versione short di 160 km) e la Milano-Sanremo.
Marco: «Non ho mai incontrato runners keniani in gare ultra; generalmente le nazioni più rappresentative sono la Francia, la Spagna e l’Inghilterra; si tratta di ex maratoneti per lo più con tempi sulle 2 ore e 30 minuti, che sono passati al trail e alle competizioni ultra per trovare nuovi stimoli e maggiori soddisfazioni.
Ma gli atleti più forti non partecipano per diletto, perché chi vince oggi può contare su buone sponsorizzazioni. A livello di premi generalmente non si vincono soldi ma premi in natura, oppure qualche capo di abbigliamento, una torcia…».
Michele: «Per quanto riguarda le vincite, nelle Ultra non è usanza dare premi in denaro. Solitamente si riceve una medaglia o un belt-buckle (il fibbione da cintura, stile cowboys) da FINISHER. Alcune competizioni danno un piccolo trofeo ai primi classificati (solitamente i primi tre). Nulla di più».
SITUAZIONE GRANDI MARATONE
Nelle majors, le maratone più importanti del pianeta, la situazione premi è ben diversa. Ho fatto i raggi X ai premi di due maratone: la New York City Marathon e la London Marathon. Ed ecco che cosa ho scoperto…
La maratona di New York premia in egual modo gli uomini e le donne dando ai vincitori 100 mila dollari, ai secondi 60 mila, ai terzi 40 mila, e via via decrescendo per un montepremi totale di 534 mila dollari.
La maratona di Londra premia il primo uomo e la prima donna con 55 mila sterline, i secondi con 30 mila, 22.500 ai terzi, e via via decrescendo per un montepremi totale di 313 mila sterline. Se poi ai premi in denaro aggiungi gli ingaggi degli atleti, ti accorgi che un maratoneta, se si posiziona a podio in una 42 km importante, può decisamente cambiare vita e vivere di sola corsa.
COSA DICE LAURA FOGLI
Ho chiesto il parere di Laura Fogli, che di maratone importanti ne ha vinte tante, arrivando due volte seconda e due volte terza alla New York City Marathon.
«Non ho mai visto un atleta keniano correre gare ultra – mi spiega – sicuramente le persone che li seguono e li allenano non hanno un ritorno a livello di immagine ed economico, così come i runners, che nella corsa hanno trovato un modo per crearsi un futuro migliore. Le maratone, le majors, ma anche quelle meno importanti solitamente danno premi in denaro.
Secondo me però non c’è solo il lato economico… Se sei un maratoneta di alto livello non puoi permetterti di rischiare un infortunio su un percorso accidentato, io stessa ho provato la 100 km del Sahara a fine carriera, con l’idea di portarla a termine e provare un’esperienza nuova, ma non mi sarei mai messa in gioco in carriera.
La maratona ti provoca infortuni durante la preparazione, per via dei carichi di lavoro non indifferenti; se prepari una gara che prevede 4 maratone di seguito, con percorsi difficilissimi, il rischio di farsi male è ancora maggiore, e non puoi permettertelo».
Non so se in futuro qualcosa cambierà e le ultra oggi appannaggio di runners americani ed europei potranno vedere primeggiare atleti africani… Chissà?!? Di certo io tiferò sempre per il migliore! E tu che cosa ne pensi? Secondo te i runners degli altipiani arriveranno a correre gare ultra?
Fotografie di Pierluigi Benini e di Paolo D’Agostino
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