Giorgio Calcaterra a Verona per Wings for Life

Giorgio Calcaterra in azione. Foto Roberto Mandelli

Giorgio Calcaterra è uno dei ambassador di Wings for Life World Run, in programma a Verona il prossimo 3 maggio.

Lo scorso anno corse quasi 73 km. Quest’anno cosa ci riserverà? A me ha detto che vorrebbe correre almeno 74 km, il percorso è cambiato, è più in piano e dunque crede di potercela fare. Intanto potete conoscerlo meglio leggendo l’intervista estratta da “Il Papa non corre. 42 modi di vivere la corsa”. Dimenticavo… Una cosa è cambiata, oggi Giorgio ha affittato la licenza di tassista alla moglie di un suo amico e lavora full-time con la sorella Lidia nel negozio di articoli sportivi.

« Correre cento chilometri a cent’anni ».

Il desiderio è ambizioso, impegnativo, quasi impossibile ma detto da chi di sfide ne ha vinte tante non sembra poi così irrealizzabile. Troppo facile puntare al gradino più alto del podio del Passatore (otto le vittorie consecutive dal 2006 al 2013) o a un titolo mondiale nell’ultra. No, Giorgio Calcaterra non si accontenta, chiede molto di più a se stesso: «forse più che un sogno è un’utopia, diciamo che vorrei essere longevo, nella corsa come nella vita. E correre una 100 chilometri a cent’anni in un certo modo, non in cento ore».

L’ESORDIO È  il padre ad averlo iniziato alla corsa all’età di dieci anni, facendolo partecipare a una stracittadina nel 1982. Da allora non ha più smesso. Sempre sulla linea della partenza, sempre in pantaloncini e maglietta, ogni domenica una sfida nuova, con se stesso e gli altri.

LA 42K aveva un sogno: correre la maratona. «Avevo quindici anni ed ero ancora troppo piccolo, quindi dovetti attendere tre anni. A diciotto, nel Novanta, finalmente potei iscrivermi alla maratona di Roma. Tutti a dirmi ‘ti fai male’ ma non li ascoltai; corsi piano, senza particolari allenamenti e la chiusi in 3 ore e 30 minuti. Per una settimana ho avuto il mal di gambe, così per un po’ di tempo mi sono allontanato da questa distanza». Era destino però che la quarantadue ritornasse nella sua vita. «Nel ’96 un amico mi chiese di preparare insieme una maratona. Accettai correndola al suo ritmo. Andò abbastanza bene e la sensazione fu molto differente rispetto all’esperienza precedente. La settimana seguente lui ne corse un’altra, io lo seguii. La chiudemmo in 2 ore 37 minuti». Un ottimo tempo ma non per Giorgio che chiosa: «Il tempo? Beh, non un granché rispetto al potenziale. Però non avevo corso al mio ritmo ma a quello dell’amico; la successiva la feci da solo e terminai in 2 ore e 25 minuti. Fu la mia prima vera maratona».

FRANCO BRAGAGNA E LA MARATONA Più VELOCE I chilometri si susseguono, i tempi si abbassano e nel 2000, in occasione della maratona di Vigarano (oggi soppiantata dalla Ferrara Marathon), Giorgio sigla il suo personale rosicchiando i talloni alle gazzelle degli altipiani e ridendo alle battute di Franco Bragagna presente quel giorno per Rai Sport. «Migliorai di due minuti il tempo precedente, andai forte, anzi fortissimo. Il ritmo? Tre minuti e nove secondi al chilometro. I primi ventuno li chiusi con il gruppo di testa; pensai ‘ora scoppio’, invece no. Quando i keniani aumentano di botto l’andatura mi stacco ma dopo poco li raggiungo. Erano in cinque, sembravano non sentire la fatica, io accelero mettendone dietro tre, chiudendo al secondo posto in volata. Bragagna, sapendo che facevo il tassista, urlò “Kenya 5!, Kenya 5! ”. Per lui ero diventato l’atleta degli altipiani con la targa». È ancora emozionato quando racconta della competizione estense e dell’ottima performance.

IL PASSATORE Ma una volta raggiunto l’obiettivo – essere uno dei migliori atleti italiani – aveva bisogno di un’altra sfida, sempre con l’asfalto e se stesso. «Troppe volte avevo sentito parlare della 100 km del Passatore; la distanza mi sembrava un’enormità ma nel 2006, per curiosità, decisi di provarla. Temendo di non concludere la gara la preparai con molta cura; ricordo che un giorno feci addirittura un lungo da solo di ottantotto chilometri, praticamente passai un’intera giornata a correre, ripetendo all’infinito il circuito di sette chilometri di Villa Pamphili». Una competizione che non si può improvvisare per lunghezza e tipologia del percorso (si snoda attraverso l’Appennino tosco-romagnolo e presenta notevoli dislivelli). «I racconti della Firenze – Faenza erano davvero particolari; dicevano che mi sarei dovuto cambiare in corsa, che i piedi si sarebbero gonfiati, che avrei dovuto calzare delle scarpe più grandi, che mi sarei fermato, che sarei stato male. Dissero tante cose, ma nessuna si realizzò. Così capii quanto fosse sbagliato il concetto che avevo di questa particolare gara. Perché una 100 km è una competizione seria che si corre abbastanza velocemente».

100 KM SENZA VESCICHE Stupito e senza acciacchi, tagliò il traguardo per primo in Piazza del Popolo dopo 6 ore e 49 minuti. «I piedi non sanguinavano, nessuna vescica; ero un po’ stanco ma non avevo nessun tipo di problema, ovviamente muscolarmente un po’ di doloretti qua e là c’erano».

MONDIALI DI ULTRA MARATONA Inaspettatamente sono arrivati i Mondiali di ultramaratona. «Qualche mese dopo arriva la convocazione ai Mondiali, poi agli Europei, e le corse lunghe diventano un’abitudine ». Le ultra si sono susseguite una dopo l’altra, anno dopo anno, con Giorgio che stravinceva dando distacchi enormi agli avversari. «Quando preparo una cento chilometri fisicamente è il periodo in cui mi sento meglio. In quei mesi corro a una velocità tranquilla, sui 4 minuti e 30 secondi al chilometro, senza ripetute o lavori specifici».

12 MILA KM L’ANNO PER 12 PAIA DI SCARPE DA RUNNING I chilometri sono tanti, quasi mille ogni mese, dodicimila in un anno per una dozzina di paia di scarpe. Chilometri uguale tempo, ore, minuti. Quali sono i pensieri che si affacciano nella testa di chi corre così a lungo e come si resiste al dolore e alla fatica? «Quando gareggio sono molto concentrato, non mi annoio, guardo i distacchi, quanto manca alla fine. Il Mondiale che ho vinto lo scorso anno era composto di tanti giri con gente che applaudiva, incoraggiava e il tempo passava velocemente». Niente yoga o meditazione zen, l’ultramaratoneta più forte del pianeta riesce a controllare bene la testa, il fiato e le gambe.«Non conosco tecniche mentali o di dissociazione, in gara sono concentratissimo e quando la fatica bussa alla porta ho la mia piccola tecnica motivazionale. Mi pongo degli obiettivi intermedi, non penso a tutti i chilometri che devo affrontare, mi concentro sulla prima metà gara cercando di correrla in un certo tempo, poi sui successivi dieci chilometri, insomma spezzetto l’obiettivo grande in tanti piccoli obiettivi, perché così pesa meno il traguardo finale».

LA DIETA Corre, corre, non si stanca e se cade si rialza, sempre. Che il segreto risieda in ciò che mangia? «Per anni, tra l’altro quelli del personale in maratona, ero assolutamente vegetariano e ancora oggi in parte lo sono. In parte perché non compero la carne, però se m’invitano a cena e mi offrono una lasagna non dico che non posso mangiarla. Non ho mai avuto problemi di ferro, la mia dieta è sempre stata ricca di cereali e verdure. L’unico cosa, non mangio a orari regolari, con i turni e tutto il resto a volte smangiucchio qualcosa in taxi, un panino o cose veloci. Oggi per fortuna ho pranzato a casa, ma alle quattro!».

COSA GLI PIACE DELLA CORSA Ogni tanto qualcuno ci interrompe, questa volta una voce dall’accento orientale che chiede di essere accompagnata in zona Eur. Giorgio si scusa per l’interruzione, poi continua e mi racconta del suo amore per la corsa. «La corsa per me è uno sport molto semplice, umano. Non ci si monta mai la testa, mi dà libertà, mi fa stare bene, mi permette di conoscere nuova gente e vedere posti nuovi». Lo dice con sincerità e naturalezza, ma è pudico quando gli chiedo dei suoi trofei sportivi. «Conservo tantissime coppe e trofei, in particolare i cappelli che regalano al vincitore del Passatore. Un copricapo particolare come quello del brigante che rubava ai ricchi per dare ai poveri, che ha dato il nome alla competizione. Ne possiedo otto e sono tutti appesi a una parete di casa. Certo ingombrano un po’ e chi entra rimane sconcertato ma a me piace vederli appena apro la porta, mi danno un senso di benessere».

“Padova32”, “Padova32”, Giorgio ha una chiamata. Il ‘nickname’ del taxi suona però strano, cosa centra la città veneta con Roma capitale? «Non ho scelto io il nome, se avessi potuto l’avrei probabilmente chiamato Roma1 visto che sono romano, nel senso di abitante di Roma non di tifoso – puntualizza – oppure Faenza, la città d’arrivo del Passatore».

Sì ma il numero? Potremmo scrivere Faenza 9? Fulminea la risposta: «Nove significherebbe mettere un limite alle vittorie, meglio Faenza 1 che non pone dei limiti».